giovedì 11 ottobre 2007

La “povertà relativa”.

Il 4 ottobre, l’ISTAT ha pubblicato i dati sulla “povertà relativa” in Italia nel 2006. (Vedi comunicato stampa dell’istituto)
Intanto vediamo cos’è la povertà relativa: questa si basa sul confronto tra le spese medie mensili per consumi delle famiglie. Ma c’è anche la “povertà assoluta” che, invece, viene valutata in relazione al valore monetario di un paniere di beni e servizi mensili.
La statistica che ci ha fornito l’Istat è, dunque, inerente la “povertà relativa”, mentre quell’assoluta è ormai qualche anno che non viene più calcolata; eppure sostiene l’ADUSBEF, sarebbe più interessante e più veritiera.
Ad esempio, in una comunità di ricchi, il meno ricco risulterebbe relativamente povero!

Ma c’è un altro dato che stride: il PIL aumenta, come la povertà! Ed allora come la mettiamo? Clicca qui ed anche qui.

La stampa ha fatto titoloni ed articoli il 5 ed il 6 ottobre.
Poi più nulla.
I blog, poi, sono ancora impegnati con il V-day, con Santoro e Mastella e con i “bamboccioni” (a proposito, come se la sono presa! D’altra parte la maggioranza dei redattori di blog sono dell’età dei “bamboccioni”; comunque, brutta espressione della realtà).
A dire il vero ci sono anche molti che continuano a parlare dell’ex Birmania e ad impegnarsi su questo con iniziative di vario genere.

Della “povertà relativa” non ho visto molto in giro!

Il giornale del nordest, Il Gazzettino, ha pubblicato un fondo di Ulderico Bernardi (vedi sito) che fa particolare riferimento al nordest e da la causa alla “questione settentrionale”!
Questa, proprio non la capisco. (clicca qui per leggere l’articolo). Scrive, fra l'altro, a questo proposito: “Stereotipo per stereotipo, si continua a gridare dagli al ricco, spremendo le categorie che hanno saputo rovesciare le condizioni di povertà d'altri tempi. Caricando artigiani, coltivatori diretti e piccoli imprenditori dello stigma di evasori fiscali; negando l'esistenza di una "questione settentrionale", che poi vuol dire carenza di servizi pubblici, disattenzione colpevole per i fattori dello sviluppo, ma anche generalizzazione e banalizzazione riguardo alle vere situazioni esistenziali nelle nostre province.”
Ma non si rende conto che sta parlando di categorie che hanno “fatto i schei” sì con il loro lavoro, ma anche e soprattutto, con l’evasione. Porta ad esempio i coltivatori diretti (vedi il mio post precedente); questi hanno evaso, nel corso degli anni, soprattutto quando la categoria era un serbatoio di voti per la DC, la contribuzione per la pensione e per la “cassa malati”; e quando non evadevano pagavano pochissimo.
Artigiani, piccoli imprenditori! Ma se andiamo a vedere le categorie che maggiormente evadono, sono proprio questi, oltre ai liberi professionisti.
Insomma, il prof. Bernardi, parla di tutto fuorché di quei poveri diavoli che sono … i poveri. Per lui la povertà è, invece, “la questione meridionalista”, il “federalismo che non c’è”, le “tasse che spremono i poveri imprenditori che si sono fatti da soli”.
Di tutt’altro tenore l’intervista di Adriano Favaro, su “Il Gazzettino” del 6 ottobre, ad un altro professore, a Giovanni Sarpellon, sociologo, docente a Udine e Venezia, che è stata la prima persona, in Italia, ad interessarsi, scientificamente, di povertà. (Clicca qui per leggere l’articolo)
Dice, invece, Sarpellon: «Il Nordest è fatto di piccoli e bravissimi imprenditori, gente molto attiva (spesso ricca). Ma c'è anche l'altro mondo, quello della gente normale, impiegati, operai; senza l'iniziativa personale che ha trasformato quest'area nel "mitico nordest"».
Novecentosettanta euro (la soglia della povertà relativa), tradotti in lire, erano un dignitoso stipendio e/o pensione prima del 2000; per carità, non c’era da scialacquare, ma, sinceramente, non si parlava di povertà.
Il prof. Serpellon imputa invece la causa all’euro, non alla moneta in se stessa, ma al cambio “personalizzato” effettuato da molti. La colpa? …«Dell'euro. Per alcuni vale mille lire per altri duemila. Chi sta dalla parte delle mille lire soffre».
E chi ha applicato questo “cambio”? Non certo i dipendenti ed i pensionati!

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