mercoledì 16 maggio 2007

Libertà e indipendenza dei giornalisti. Come la pensava Ryszard Kapuściński

Ho letto, in questi giorni, “Il cinico non è adatto a questo mestiere”, una raccolta di conversazioni “sul buon giornalismo” dello scrittore e giornalista polacco Ryszard Kapuściński, deceduto di recente.
La conversazione, dalla quale ho estrapolato il pezzo sotto notato, è relativa all’incontro avvenuto a Capodarco di Fermo (AP) il 27 novembre 1999, nell’ambito del VI Convegno “Redattore di classe” intitolato “Di razza e di classe. Il giornalismo tra voglia d’élite, coinvolgimento, indifferenza”.
Già in questo blog ho scritto in relazione all’informazione in generale, ma l’argomento in questione, la libertà e l’indipendenza dei giornalisti, molto interessante, era attuale allora e lo è anche adesso.
Vi lascio, quindi, senza altri commenti, alla lettura, ed alla meditazione, di ciò che pensava chi è stato ben più qualificato a trattare.


Domanda dal pubblico: Si è detto di un giornalismo che fa attenzione soprattutto ai deboli, di una professione pericolosa, che consuma. Vorrei sapere, nella sua esperienza prima di tutto di uomo e poi di giornalista, qual è stato il suo rapporto con il potere, in particolare con i regimi dell'Est europeo, e quale dovrebbe essere oggi il rapporto del giornalista con il potere.

Ryszard Kapuściński: È una domanda veramente complessa. Io ho una lunga storia giornalistica da raccontare e occorrerebbe scrivere un libro per rispondere compiutamente. Non c'è una sola regola. L'ideale è quello di essere il più indipendenti possibile, ma la vita è lontana dall' essere un ideale. Un giornalista è sottoposto a molte e diverse pressioni perché scriva ciò che il suo padrone vuole che egli scriva. La nostra professione è una lotta costante tra il nostro sogno, la nostra volontà di essere del tutto indipendenti e le situazioni reali in cui ci troviamo, che ci costringono ad essere invece dipendenti da interessi, punti di vista, aspettative dei nostri editori. .
Ci sono paesi in cui esiste la censura, e allora bisogna lottare per evitarla e per scrivere quanto più possibile ciò che si intende scrivere, nonostante tutto. Ci sono paesi in cui c'è libertà di espressione, in cui non esiste una censura ufficiale, ma la libertà del giornalista è limitata dagli interessi della testata per la quale lavora. In molti casi il giornalista, specialmente se è giovane, deve sottostare a molti compromessi e usare varie tattiche per evitare il confronto diretto, e cosi via. Ma non sempre è possibile, ed è questo il motivo per cui si verificano così tanti casi di persecuzione. Sono tecniche di persecuzione indubbiamente diverse da quelle violente di cui parlavo in precedenza: assumono la forma del licenziamento, dell' emarginazione di fatto dalla vita lavorativa, della minaccia di natura economica. In generale si tratta di una professione che richiede una continua lotta e un costante stato di allerta. Per rispondere concretamente alla sua domanda, bisognerebbe analizzare caso per caso, ma è comunque difficile dire se in un determinato paese la situazione sia migliore o peggiore che in un altro. Le cose fluttuano, cambiano in pochi anni. In generale, la conquista di ogni pezzetto della nostra indipendenza richiede una battaglia.
Ognuno di noi, dopo un certo numero di anni di lavoro e di viaggi, ha nel suo curriculum almeno un caso personale di persecuzione, di espulsione da qualche paese, di fermo, di tensione con la polizia o le autorità, che magari rifiutano di concedere il visto, che usano centinaia di espedienti per renderci difficile la vita.


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Questi i link ai miei post precedenti sul giornalismo:
http://sp1938.blogspot.com/2007/04/il-giornalismo-secondo-kapuciski.html
http://sp1938.blogspot.com/2007/02/ancora-vera-informazione-quella-che-si.html
http://sp1938.blogspot.com/2006/06/notizia-veramente-importante-su-il.html
http://sp1938.blogspot.com/2006/06/notizie-in-risalto-arresto-di.html
http://sp1938.blogspot.com/2006/06/com-caduta-in-basso-linformazione.html

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